Ortoressia: quando il cibo diventa un’ossessione

29 Ott 2024 - Mindset

Ortoressia: quando il cibo diventa un’ossessione

In un’epoca in cui l’attenzione per il benessere è più alta che mai, è facile cadere nella trappola di un’alimentazione eccessivamente rigida. Ma quando la ricerca della perfezione alimentare diventa un’ossessione, gli esperti parlano di ortoressia

Per comprendere meglio questo comportamento, come si possa riconoscere e quali siano le implicazioni, soprattutto nel mondo sportivo, ho pensato di raccogliere informazioni utili intervistando la dott.ssa Caterina Bianconi, psicoterapeuta e sessuologa, specializzata nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare.

Che cos’è esattamente l’ortoressia e come si differenzia dagli altri disturbi alimentari?

L’ortoressia è una condizione patologica che si verifica quando l’attenzione per la qualità del cibo diventa un’ossessione, pervasiva e costante, con significative ripercussioni sulla qualità di vita di chi ne soffre.

Differenze tra l’ortoressia nervosa e gli altri disturbi alimentari:

  • la motivazione sottostante la restrizione alimentare, non riguardante il controllo di peso e forma corporea (AN) ma la qualità degli alimenti, distinti in sani e dannosi, da evitare;
  • l’assenza di abbuffate, isolate (BED) o associate a condotte compensatorie (BN);
  • la minor consapevolezza del disturbo: chi soffre di altri disturbi alimentari è più probabile a un certo punto li riconosca come tali.

L’ortoressia nervosa è spesso confusa con un’alimentazione sana. Quali sono i criteri diagnostici che permettono di distinguere un comportamento alimentare sano da uno patologico?

La distinzione tra sano e patologico sta nella pervasività dei pensieri sul cibo, nella inflessibilità dei comportamenti conseguenti e nel loro impatto sulla salute della persona:

  • il pensiero alle regole alimentari è costante (pervasivo): immaginate i pensieri come gocce che una dopo l’altra a un ritmo costante cadono dall’alto;
  • le regole alimentari dettano una serie di comportamenti che la persona non può fare a meno di seguire (inflessibilità);
  • la salute risente delle scelte alimentari fatte (malnutrizione), invece che beneficiarne come chi le agisce si aspetterebbe.

Quali sono le principali carenze nutrizionali che possono insorgere a causa di un’alimentazione eccessivamente restrittiva, tipica dell’ortoressia, e quali possono essere le conseguenze a lungo termine per la salute?

L’ortoressia può comportare una serie di carenze di nutrienti essenziali come vitamine (es. B12, vitamina D), minerali (es. ferro, calcio), proteine e grassi sani. Questi nutrienti sono fondamentali per il funzionamento del corpo, che può risentire più o meno pesantemente della carenza degli stessi.

Le conseguenze sulla salute sono varie:

  • problemi ossei, come osteoporosi, derivanti dalla carenza di calcio e vitamina D;
  • debolezza muscolare e perdita di massa muscolare a causa di una riduzione dell’apporto proteico;
  • disfunzioni ormonali, inclusi disturbi del ciclo mestruale nelle donne, dovuti a un apporto energetico insufficiente; 
  • compromissione del sistema immunitario, con conseguente aumento della suscettibilità alle infezioni.

A lungo termine, possono insorgere problemi cardiovascolari, anemia e disturbi come depressione e ansia, associati a carenze nutrizionali e a una bassa assunzione calorica.

In che modo un’ossessione per l’alimentazione “perfetta” può influenzare le prestazioni atletiche? Esistono meccanismi psicologici e fisiologici che possono entrare in gioco?

Un’alimentazione troppo rigida può ridurre l’apporto calorico complessivo e i nutrienti necessari per sostenere l’energia, il recupero muscolare e la resistenza fisica, andando a peggiorare le prestazioni sportive degli atleti. Questi ultimi, in ragione di regole alimentari scorrette, potrebbero inoltre sperimentare stanchezza cronica, debolezza e un maggiore rischio di infortuni.

L’impatto negativo dell’ortoressia sulle prestazioni atletiche non si limita a quanto sopra, possono infatti entrare in gioco anche una serie di meccanismi psicologici e fisiologici, conseguenti al disturbo e allo stesso tempo sostenenti lo stesso, in una pericolosa circolarità.

Tra i primi:

  • ansia e stress (il costante controllo ossessivo del cibo può aumentare i livelli di stress e ansia, influenzando negativamente la concentrazione e la motivazione sportiva);
  • distorsione dell’immagine corporea (l’eccessiva focalizzazione sull’alimentazione può portare a una percezione alterata del proprio corpo, aumentando il rischio di sviluppare altri disturbi alimentari);
  • rigidità, pensiero magico e rituali (l’atleta può maturare una serie di pensieri legati all’andamento della prestazione e una ritualità di comportamenti conseguenti, che possono esporlo al rischio di arrivare “già stanco” in gara).

Tra i meccanismi fisiologici:

  • metabolismo rallentato (una dieta troppo restrittiva può ridurre il metabolismo basale, causando affaticamento e perdita di efficienza atletica);
  • sindrome da deficit energetico (il corpo entra in una sorta di “modalità di risparmio energetico”, compromettendo funzioni vitali come la riproduzione e il mantenimento della massa muscolare, con effetti negativi sulla performance atletica).

I rischi associati all’ortoressia toccano quindi più dimensioni: il disturbo non ha solo un impatto a livello nutrizionale, ma anche a livello fisico in senso più ampio e mentale.

Come si può promuovere un’alimentazione sana e equilibrata nel mondo del fitness senza incoraggiare comportamenti estremi e ossessivi? Quali sono le strategie più efficaci?

Ritengo che per promuovere un’alimentazione sana ed equilibrata sia importante incentivare il supporto degli atleti da parte di equipe nelle quali nutrizionista e psicoterapeuta lavorino in modo sinergico per promuovere:

  • varietà alimentare;
  • moderazione invece che restrizione;
  • l’idea di dieta come guida non rigida, che lasci spazio all’ascolto di sé.

Assunti i punti di cui sopra sarà importante incentivare negli atleti forme di controllo alternative a quello alimentare e realmente impattanti sulle possibilità dello sportivo di eccellere nella propria disciplina. 

 Spesso si pensa che di fronte a un disturbo mentale il punto sia “togliere il sintomo”, in realtà credo il punto sia comprenderlo e trovare delle alternative allo stesso per stare bene. Il sintomo è spesso l’espressione del miglior modo che la persona ha trovato per stare bene; capiamo però che se siamo di fronte a una condizione patologica, questo modo non funzioni o abbia importanti limiti.

Qual è il ruolo dello psicologo nel trattamento dell’ortoressia nervosa? In che modo può collaborare con il nutrizionista per aiutare il paziente a recuperare un’alimentazione varia ed equilibrata?

Se il nutrizionista dà corrette indicazioni alimentari, lo psicologo prima promuove la consapevolezza dell’esistenza di un problema, poi ne indaga il senso.

Cosa vuol dire indagare il senso di un problema alimentare? Capire a che cosa il sintomo alimentare – nel caso dell’ortoressia: le rigide regole alimentari – serve alla persona che lo accusa. Solo compreso il senso di un sintomo, si può passare al livello successivo: trovare alternative a questo, più funzionali e pertinenti, per raggiungere il proprio obiettivo.

Chi soffre di un disturbo alimentare spesso non sente di avere un’alternativa al controllo del cibo, per stare in (apparente) equilibrio. È con lo psicoterapeuta esperto che si accompagna la persona a conoscere tutto il ventaglio di alternative a sua disposizione, così da dargli quel che la renderà sana: una scelta, la possibilità di diventare flessibile. 

Come affrontare la crescente pressione sociale per avere un corpo “perfetto” e prevenire lo sviluppo di comportamenti alimentari disordinati, soprattutto tra i giovani?

La pressione sociale per avere un corpo “perfetto” è oggi importante e affrontarla determinante ai fini della prevenzione di comportamenti alimentari disordinati. 

Come fare? Credo sia fondamentale in primis lavorare sul concetto di perfezione e capire cosa i giovani pensino di ottenere raggiunto quel tipo di fisicità: amici, approvazione, riconoscimento, sicurezza?

Sarà poi importante accompagnare i giovani nella scoperta di tutti i mezzi di cui dispongono per ottenere quello che cercano e, se coerente con quanto espresso sopra, aiutarli ad accettare di correre il rischio della mancata approvazione: anche se non si dovesse piacere a tutti, anche se non si riuscisse a essere perfetti, ma semplicemente sé stessi cosa potrebbe mai accadere?

Altrettanto importante incentivare il passaggio dall’adesione a un modello, al riconoscimento della propria unicità e di come ci si potrebbe distinguere più che uniformare. Sta forse lì, in buona parte credo, la conquista della sicurezza: nel coraggio di distinguersi invece che uniformarsi, nell’accettazione del rischio di non piacere a tutti e nel proposito di circondarsi non di chi giudica ma di chi si apprezza e fa sentire apprezzati. 

Ringrazio la dottoressa Caterina Bianconi per aver risposto alle domande su questo tema, che spero possano esserti utili per capire meglio le dinamiche che vivono e si sviluppano dietro questo disturbo. Se ti rendi conto che il pensiero dell’alimentazione sia eccessivamente intrusivo nel tuo benessere mentale, ricorda che puoi appoggiarti a professionisti per ricercare le motivazioni e tornare a prendere decisioni sane per la tua salute. 


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